27 marzo 2020

Alessandro D'Avenia: l'arte di essere fragili

Alessandro D'Avenia: l'arte di essere fragili

LIbro: L'arte di essere fragili




In “L’arte di essere fragili” l’autore Alessandro D’Avenia intesse un ipotetico scambio epistolare con il poeta Giacomo Leopardi (1798-1837) rivalutandone la sua figura “spesso liquidata e ricordata come pessimista e sfortunata”, sebbene a suo avviso dimostri attraverso le varie lettere e citazioni quanto invece Leopardi fosse “affamato di vita e di infinito”. Il testo è suddiviso nelle seguenti sezioni: adolescenza (o l’arte di sperare), maturità (o l’arte di morire), riparazione (o l’arte di essere fragili), morire (o l’arte di rinascere).

L’arte di essere fragili: uno scambio epistolare con Giacomo Leopardi
Alessandro D’Avenia, giovane scrittore e insegnante di Lettere, fin dal suo esordio

letterario si è rivolto principalmente ad un pubblico giovane, bloccato in quella età di mezzo caotica che è l’adolescenza. Con i suoi libri ha cercato di intessere un dialogo con loro partendo dall’ascolto dei loro principali bisogni inespressi e inappagati, aiutandoli a ritrovare un senso ed una direzione nella loro vita. Questa volta, tuttavia, il libro può essere apprezzato anche da un lettore più maturo, sebbene l’interlocutore principale continui ad essere l’adolescente in quanto futuro adulto.

In “L’arte di essere fragili” l’autore intesse un ipotetico scambio epistolare con il poeta Giacomo Leopardi (1798-1837) rivalutandone la sua figura “spesso liquidata e ricordata come pessimista e sfortunata”, sebbene a suo avviso dimostri attraverso le varie lettere e citazioni quanto invece Leopardi fosse “affamato di vita e di infinito”. Il testo è suddiviso nelle seguenti sezioni: adolescenza (o l’arte di sperare), maturità (o l’arte di morire), riparazione (o l’arte di essere fragili), morire (o l’arte di rinascere).

L’autore, in un primo momento, mette in risalto il desiderio del giovane Leopardi di esplorare il mondo esterno, di andare oltre i limiti della “siepe” e di una famiglia controllante, “rapito” da una sorta di “innamoramento” della natura attraverso cui comprende la propria vocazione e il proprio scopo ultimo, ossia realizzarsi attraverso la letteratura, componendo scritti colmi di questo “rapimento”. La vita, però, molto spesso non asseconda le nostre aspirazioni ma, anzi, pone degli ostacoli (nel caso di Leopardi l’ impossibilità in un primo momento di allontanarsi dalla famiglia di origine, l’amore negato più volte, la malattia che lo priva del suo unico scopo di leggere e scrivere). Davanti a ciò, l’adulto mette da parte i propri sogni ma quello che dovrebbe fare è, invece, accettare i limiti per realizzare nuovi “rapimenti” che vadano oltre ai limiti stessi o che ne riattribuiscano un senso. Per questo motivo, secondo Alessandro D’Avenia, Leopardi non è pessimista: a suo avviso è invece un uomo che, scontrandosi con gli ostacoli, ha fatto diventare i suoi scopi irraggiungibili e i limiti della vita ulteriori nuovi scopi di lirica e poesia, di ampliamento della conoscenza. Il canto della solitudine e della natura malvagia nascono proprio dalla riattribuzione di senso rispetto agli eventi negativi che hanno costellato la sua vita.

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